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PARRANNU ‘CCÙ CRIANZA.

Fraseologia e motti calabresi

 

INTRODUZIONE

Di due conoscenti che appaiono intimi fino alla complicità, a Crucoli come in gran parte della Calabria, si dice: Sù cazzu e cucchjaru ”. Già, ma perché?

Quanti tra coloro che hanno usato o sentito l'espressione Ottu e novi, foramalocchju !” si sono chiesti da dove derivi?

E quanti sanno perché, quando si intende criticare qualcuno, con sarcasmo gli si dice: Ohi, Cunnu ‘e Borgia !”

Chi torna alla propria terra dopo un'assenza prolungata, si accorge che il proprio modo di parlare non è più attuale in quanto corrisponde a quello degli anni della propria infanzia.

La lingua e i modi di dire sono cambiati perché nel frattempo si è trasformata la civiltà di cui erano espressione.

Mettere insieme le frasi fatte e i modi di dire nel dialetto crucolese aiuta, perciò, a ricomporre la fisionomia di un paese e di un popolo che non ci sono più.

Questo non implica alcun giudizio di valore: lingua, usi e costumi si trasformano come ogni cosa umana.

Personalmente, tuttavia, ritengo manifestazione di minorità culturale che si ostenti di parlare solo l'italiano e che ci si vergogni di conoscere il dialetto, o anche che si proibisca ai propri figli di apprenderlo, come molti al giorno d'oggi fanno.

Mi sembra che vergognarsi delle proprie radici sia manifestazione di un grave complesso di inferiorità.

All'elencazione delle frasi fatte che ho potuto raccogliere farò perciò precedere il commento di quelle più caratteristiche e originali. Servirà a sottolineare come l'abbandono del dialetto a favore dell'italiano sia una grave perdita culturale. Neppure giustificata dalla necessità di procedere nell'unificazione linguistica del Paese, come dimostra il fatto che intere generazioni, dopo l'unità d'Italia, hanno continuato ad utilizzare entrambi gli idiomi senza ricadute negative per il progresso civile e culturale.

DETTI NOTEVOLI

Aviri n'occhju aru quatru e l'atru ara vertula.

Letteralmente: “Tenere un occhio al quadro e l'altro alla bisaccia”. Significa fare molta attenzione soprattutto nelle circostanze in cui si è fuori dal proprio ambiente o in presenza di sconosciuti.

I monaci questuanti che giravano per le contrade chiedendo l'elemosina, esibivano un quadro del loro Santo per appellarsi alla fede dei contadini ma stavano bene attenti a che nessuno gli sottraesse la borsa con le offerte di viveri già raccolte.

Con un occhio al quadro e l'altro alla bisaccia, appunto.

 

A mesù! A mesù!

Non so quanti crucolesi oggi conoscano questa espressione e quanti, nel caso, ne sappiano l'origine.

Fino agli anni Settanta del Novecento tra le vineddre di Crucoli al tramonto essa si udiva ogni giorno. Tutte le massaie la usavano come richiamo per le galline che razzolavano liberamente per le rughe e al calar del sole dovevano tornare a casa. Difatti era consuetudine che tutte le mamme, per assicurare l'ovetto fresco ai bimbi piccoli, tenessero qualche gallina, di solito nel sottoscala esterno all'abitazione. Molti gafii , in effetti, avevano una porticina in legno o in ferro nella quale era praticato un foro circolare o quadrato ad altezza di gallina. Lo sportellino di chiusura veniva aperto, al mattino, per consentire la fuoruscita delle bestiole e, alla sera, per consentirne il rientro. E, appunto per sollecitare ogni gallina a prendere la via di casa, le donne dal gafio gridavano: “ A mesù! A mesù! Cuti mia, cuti mia, a mesù !”. Le galline riconoscevano la voce della propria padrona e si avviavano senza incertezze al pollaio giusto. Ogni padrona, a sua volta, riconosceva le proprie galline perché a ciascuna di esse aveva a suo tempo applicato ad un'ala una pezzuola, un fiocco identico. Quindi le galline esibivano impettite il loro papillon e le comari ne distinguevano l'appartenenza. Ora sono poche le famiglie che ne allevano. Forse perché di bimbi ne nascono sempre meno e di uova fresche ne occorrono poche o forse, piuttosto, perché si ritiene poco moderno allevarle e molto comodo comprare le uova. Sicuramente per le vie non se ne vede più nessuna becchettare in giro tutto il dì e poi a sera tornare mansueta al proprio gafio .

L'usanza descritta era diffusa in tutta l'Italia rurale, e probabilmente nel resto del mondo contadino, da secoli. Ve ne è traccia ancora adesso nel codice civile vigente, non a caso risalente al 1942, dove l'art. 925 riproduce una norma in tema di possesso ereditata dal diritto romano e che si fonda sulla consuetudo revertendi ossia sull'abitudine degli animali mansuefatti di ritornare nel luogo in cui sono custoditi.

Appartengono alla categoria, per esempio, i colombi delle colombaie, i pesci delle pescaie, le api degli alveari e, appunto, le galline d'antan di Crucoli.

Se si ricorda qui il latinorum dei giuristi è per osservare che, curiosamente, le antiche massaie di Crucoli si rivolgevano alle loro galline in latino! L'espressione A mesù!, infatti, deriva dalla frase latina ad mansionem ire, ossia tornare a casa. Da cui a mmesunari , il verbo dialettale calabrese con cui si descriveva il tornare delle galline alla dimora.

Il punto di partenza è il termine latino mansio , derivato dal verbo manere , cioè alloggiare.

Da cui, oltre all'italiano magione, ha origine anche il francese maison e l'atesino maso. Nonché il bellissimo nome di Silvana Mansio (letteralmente Dimora Silvestre), località della Sila.

Infine è da annotare, in quanto notevole nella sua formulazione, l'espressione con cui l'amante avvertiva il padre della sua bella:

Guardila quantu vò la gaddrineddra ca mi la vegnu a pijari all'ammensunari.

Curala quanto ti pare la gallinella tanto me la vengo a prendere quando si va a dormire.

 

Essiri cazzu e cucchjaru!

Essere cazzo e cucchiaio!

Puro non sense. Non si comprende infatti perché, di due persone molto affiatate tra di loro e che se la intendono, si debba dire che sono come cazzo e cucchiaio .

In realtà l'espressione è la storpiatura calabrese e popolaresca del modo di dire napoletano Essere come tazza e cucchiaio .

Francamente trovo più godibile il detto calabrese.

 

Cchi rémussu!

Dall'invito « Oremus! » («Preghiamo!») che, nella messa e negli altri riti cattolici in latino, il celebrante rivolgeva ai fedeli ogni volta che li esortava a innalzare a Dio una preghiera. Dopo questo invito il sacerdote e i fedeli si raccolgono per una breve preghiera silenziosa individuale, quindi il sacerdote proclama l'orazione al termine della quale tutti rispondono amen.

Dal momento che tale orazione negli anni preconciliari era pronunciata in latino è da escludere che i contadini crucolesi ci capissero qualcosa.

Perciò remussu esprime il disappunto per un discorso incomprensibile, lungo e ripetitivo, noioso e insopportabile.

 

Ppè minchja e materna!

Deformazione della frase Requiem aeternam dona eis, domine! Tratta dalla preghiera per i defunti recitata durante la messa funebre in latino. L'espressione significa in eterno ma viene detto con ironia. Per esempio di una cosa che non ha senso conservare si dice a colui che viceversa la conserva: stipatilla ppè minchja e materna!

 

Requi'e scatta in pace!

Altra bellissima alterazione del verso conclusivo della preghiera dei defunti. Requiescat in pace! (Riposi in pace!) diventa : Requi'e scatta in pace ossia Riposa e schiatta in pace. Un commiato per un morto evidentemente mal soportato.

 

All'intrasatta.

Riproduce fedelmente la frase latina intra res actas : nel mezzo delle cose che si stanno facendo.

Significa, all'improvviso, mentre si sta facendo altro, inaspettatamente.

 

Dari l'adobbiu.

Dari l'adobbiu descriveva la somministrazione ai moribondi di ossigeno o di qualche farmaco narcotizzante contro il dolore. Dal latino ad opium .

 

L'apparecchju mericanu jetta'r'i bummi e si'n'ni va!

L'aeroplano americano getta le bombe e se ne va!

Questa canzoncina riportava, ancora negli anni Sessanta del Novecento, l'eco terribile della Seconda Guerra Mondiale appena finita. Nell'immaginario dei bambini di allora, a Crucoli l'aereo era associato ai bombardamenti. Non appena si sentiva il rombo di un aeroplano i bambini, che all'epoca giocavano sempre in gruppo tra i vicoli, alzavano gli occhi al cielo ripetendo questa cantilena e cercavano di individuarlo. Poi ne seguivano la traiettoria e, fino a che non scompariva, continuavano con questa litania per esorcizzare la paura: “ L'apparecchju mericanu jetta'r'i bummi e si'n'ni va!”

 

‘U zzitu e'r'a zzita ‘mpilati aru spitu.

Il moroso e la morosa infilati allo spiedo.

Gridando questa specie di scioglilingua i bambini inseguivano e canzonavano le coppiette che erano sorprese appartate in qualche angolo o quelle che camminavano per strada mano nella mano.

 

‘A gatta ‘e Zzù ‘Ntoninu n'antìa ciangia e n'antìa rira.

La gatta di Zio Antonino un po' piange e un po' ride.

Così si irridevano quelli che sono soliti passare rapidamente dal pianto al riso.

 

Mera ca mintu ‘a sputazza!

Guarda che metto uno sputo!

Quando si mandava un ragazzino a fare una commissione e si voleva raccomandargli di fare presto gli si diceva Guarda che sputo per terra significando: Prima che la saliva asciughi devi essere di ritorno!

Questa usanza è rievocata in una scena del film Baaria di Tornatore in cui si vede un bimbo correre a perdifiato mentre gli anziani che gli hanno affidato l'incarico se la ridono.

 

Cunnu! Cunnu ‘e Borgia!

Cunnu si usa per dare a qualcuno dello scemo o del credulone. Poi c'è il riferimento al paese di Borgia.

Il termine latino cunnus equivale a vulva, figa. A sua volta deriva dal greco kùvn che stava per cagna, meretrice.

Quindi è probabile che inizialmente cunnu ‘e Borgia indicasse le donne di Borgia come procaci e anche facili da possedere.

Tale detto risalirebbe ai tempi di Papa Borgia, Alessandro VI. Un suo figlio naturale, Goffredo, aveva sposato la figlia di Alfonso II, Sancia, che gli aveva portato in dote il Principato di Squillace nel cui ambito ricadeva il casale di Borgia. Goffredo allora aveva solo dodici anni e la moglie più grande di età si procurò molti amanti tra i quali, come pare, anche il cognato celeberrimo Cesare Borgia. Insomma lei si fece la fama della donna di facili costumi.

Queste dicerie, prima collegate alla principessa Sancia ma poi estese a tutte le donne di Borgia, pervennero all'orecchio del papa che le stigmatizzò senza riuscire a farle regredire. Tanto è vero che il detto è sopravvissuto cinquecento anni ad Alessandro VI ed è pervenuto fino a noi.

 

L'affascinu

Tipica credenza popolare di Crucoli e di buona parte della Calabria è “l' affascinu ”: superstizione e religione si fondono in questa pratica tradizionale.

E' impossibile tradurre letteralmente il termine che si presta a varie interpretazioni.

Probabilmente l'origine etimologica di “affàscinu” va ricercata nel temine catalano “fascinar” che significa ammaliare, affatturare.

L'affascino è provocato dall'ammirazione disinteressata per un'altra persona con la quale si sono avuti dei contatti ma anche per le cose e gli animali. E' dovuto all'atteggiamento interiore di chi guarda ammirando senza secondi fini, in maniera veramente spontanea e sincera.

L'affascinu, semplicemente attraverso uno sguardo, porta la persona oggetto di ammirazione ad avere dei sintomi caratteristici. “L'affascinato” prova senso di stanchezza, mal di testa e un costante ed incontrollabile sbadiglio. Per liberarsene la persona colpita da affascino deve ricorrere a chi sa leggere l'affascino ossia a coloro i quali conoscono il “ carmu ”. Essi recitano una serie di preghiere o parole che consentono di accertare che il soggetto è sotto affascino e guarirlo. Tale carme viene tramandato da chi lo conosce ad una persona ritenuta degna ( massimo a tre persone) ma può essere appreso solo durante la notte di Natale. Esso viene trascritto su di un foglio ma va subito memorizzarlo e poi il foglio deve essere bruciato immediatamente affinché non porti male a chi lo ha tramandato. La segretezza del carme fa si che questo non venga ripetuto mai ad alta voce, Questa pratica inizia sempre facendo il segno della croce per tre volte sulla persona affascinata o in assenza di questa su un suo oggetto personale. Il “ carmatore ”, ma più spesso la carmatrice , assorbe su di se i sintomi dell'affascinato iniziando subito a sbadigliare e nei casi più forti lacrimare. Per iniziare il rito il carmatore si mette di fronte all'affascinato, si fa il segno della croce e con il pollice della mano destra segna tre volte il segno della croce sulla fronte della persona da curare, ed inizia a bisbigliare una serie di preghiere (l'ave Maria e il Padre Nostro) e di formule assolutamente segrete. Per quanto riguarda le preghiere, se alla donna curatrice sopraggiunge il primo sbadiglio mentre recita l'Ave Maria, significava che l'affascino lo ha trasmesso una figura femminile, al contrario se il primo sbadiglio sopraggiunge durante il Padre Nostro l'affascino è trasmesso da una figura maschile.

Quando l'affascino è particolarmente intenso, alle preghiere si accompagna un altro rituale: si versano in un pentolino acqua e sale su cui viene più volte fatto il segno della croce. Dopo che la miscela bolle vene buttata in un crocevia.

A chi è già colpito dall'affascino si consiglia di recitare una preghiera, solitamente il “Credo”. Per prevenirlo viene consigliato a chi è in procinto di fare qualcosa di importante (ad esempio: acquistare una casa), o in occasione di una nascita, ecc. di portare con sé del sale o dell'incenso.

Sempre per prevenire l'affascinu si ricorre all'espressione “ fòra affàscinu ”; la si adopera quando si vuole fare un complimento a qualcosa o qualcuno evitando qualsiasi effetto negativo del proprio inconscio.

 

L'abitinu

Altra pratica adottata per allontanare l'affascinu, è quella del " cuntraffàscinu ": essa consiste nel cucire a un indumento interno l'abitinu che protegge chi lo indossa da ogni “affascino”.

Anche in questa usanza sacro profano sono congiunti.

L'abitinu corrisponde, infatti, allo scapolare.

Lo scapolare è il grembiule usato dai monaci durante il lavoro per non sporcare la tonaca. Portato sulle scapole, ancora oggi compone l'abito dei carmelitani.

Con il tempo si è adottato uno scapolare miniaturizzato da dare ai fedeli laici fatto di due quadratini di tessuto marrone uniti da cordoni, che hanno da una parte l'immagine di Nostra Signora del Carmelo e dall'altra il Cuore di Gesù, o lo stemma dell'Ordine carmelitano.

 

I fedeli, indossandolo, possono partecipare alla spiritualità del Carmelo e alle grandi grazie ad esso legate, tra le quali il privilegio sabatino.

Nella sua bolla chiamata Sabatina, papa Giovanni XXII afferma che chi usa lo scapolare sarà rapidamente liberato dalle pene del Purgatorio il sabato successivo alla sua morte.

Il termine abitunu può derivare, perciò, sia dalla volgarizzazione di Sabatino sia, più semplicemente, dal fatto che indica l'abito dei monaci in miniatura.

 

Ottu e novi, fora malocchju!

I numeri 8 e 9 costituiscono in Calabria un simbolo apotropaico molto diffuso, dipinto sulle case, sui mobili o sugli attrezzi da lavoro.

Per alcuni studiosi si tratta della reminiscenza della tradizione pitagorica. Questi numeri avrebbero un potere magico in quanto il 9 è il primo quadrato fra tutti i numeri originato dal 3 numero perfetto, mentre 8 è formato dal cubo del 2 primo numero pari. La congiunzione di questi numeri, uno pari e uno dispari, avrebbe potere generativo.

Secondo altri studiosi, invece, l'otto e il nove rappresentano simbolicamente l'uno i testicoli e l'altro il pene e sono da ricondurre alla credenza pagana che combatteva il fascinum con l'esibizione del fallo completo di testicoli.

 

 

Imprecazioni.

Vasto è il repertorio di imprecazioni cui ha contribuito soprattutto il talento delle donne. Bastava infastidirle o combinare qualcosa che loro disapprovavano per essere investiti da espressioni minacciose. Alcune evocavano in noi bambini eventi terribili che ci turbavano profondamente.

Chi ti vò sucari nu lampu! - Che ti possa risucchiare un lampo!

Siccome negli anni '60 sulla spiaggia di Torretta due bambini di Crucoli furono colpiti mortalmente da un fulmine l'impatto era notevole.

Quando la disgrazia che si augurava non era chiarissima, il suo carattere misterioso ne amplificava l'effetto spaventevole. Era, per me, il caso di Chi ti vò veniri ‘a pipìta!

La Treccani, nello spiegare che la pipita è una malattia infettiva dei polli e degli uccelli, riporta come espressione di malaugurio verso chi è troppo ciarliero proprio: ti venisse la pipita!

 

E poi:

Chi mi'n'ni vò veniri a nova! - Che di te possa arrivarmi una brutta nuova!

Chi ti pozza abbrittari ‘a negghja du misu ‘e maju! – Che ti possa bruciare la nebbia di maggio!

Chi ti vò ‘mpignari l'occhji! – Che tu debba essere costretto a dare in pegno gli occhi!

Chi ti vò dispreggiari Gesù Cristu! – Che ti possa sfregiare Gesù Cristo!

Chi ti vò mbrigari ccù'r'i tavuli du lettu! – Che tu debba litigare con le doghe del letto!

Chi ti vò pijari nu ‘nzurtu! – Che possa avere una sincope!

Chi ti vò rumpiri a nucia du coddru! – Che ti possa rompere la noce del collo!

Chi ti vò siccari ‘a lingua! – Che ti possa rinsecchire la lingua!

Chi ti vò veniri nu bbonu! – Che ti possa capitare un bene!

Chi ti vonu acciuncari i mani! – Che ti possano tagliare le mani!

Chi ti vonu fari ‘ccù cipuddra! – Possano cucinarti con cipolle!

Chi ti vonu fari morzareddri morzareddri com‘a carna du perceddru! – Possano tagliuzzarti a pezzettini come carne di porco!

Chi ti vonu mangiari i vermi! – Che ti possano mangiare i vermi!

Chi vò fari gremu longu! – Che tu possa marcire a lungo!

Chi vò fari i vermi! – Che tu possa riempirti di vermi!

Chi vò jettari ‘u sangu! – Che possa sputare sangue!

Chi vò jiri cecatu ‘u munnu munnu! – Che tu possa vagare cieco per il mondo!

Chi vò jiri l'acqua a penninu! – Che tu possa perderti nell'acqua in piena!

Chi vò nesciri'e inta ccù'r'i pedi davanti! – Che tu possa uscire di casa coi piedi davanti!

Chi vò perdiri ‘u sonnu ‘e l'occhj! – Che possa perdere il sonno degli occhi!

Chi vò stari ‘nta pacia ‘e l'angiuli! – Che tu possa stare nella pace degli angeli!

Chi vò stari ‘nta picia! Che possa stare nella pece!

All'anima ‘e chi ti sona'r'i campani! – All'anima di chi suona per te le campane

 

ALTRI DETTI

‘A fimmina maritata s'è misa all'onuru du munnu.

‘A frittula è squagghjata e'ru grassu ddruv'è jutu?

‘A gatta ‘e Zzù ‘Ntoninu n'antìa ciangia e n'antìa rira.

‘A mossa / per finta

‘A palumma conza'r'u nidu.

‘A penzi probbiu ara crapara!

‘A vertula ‘ncoddru e'ru coru cuntentu.

‘E mia vò capiddri?

‘Mmmeci ‘e diri “donna ti rengrazzu” dici c'un ti piacia'r'u sorvizzu.

‘Na croscata fora misura!

‘Ncul'a mammita/a pajitta!

‘Nculu ‘ncùlu, Zzù Menzaluru!

‘Nculu!

‘Nni tena ‘ncuni!

‘Nni tena cazzi sutt'a cuda!

Nzarvamentu! Che tu possa arrivare sano e salvo( in salvamento)!

‘Nzurimi mamma ca si no mi perdu.

‘Ppe mia po' parrari ‘e mò finu a domani.

‘Ppè mia po' strascinari ‘u culu ‘ppè ‘nterra.

‘U diavulu è nivuru ma po' nuji ‘u tingimi troppu.

‘U jimmurutu ‘e ‘mmenzu ‘a via tutti i jimmi jiva'r'a guardari ma ‘u soju ‘un'n'u vidìa.

‘U zzitu e'r'a zzita ‘mpilati aru spitu.

‘Un mala mancu ddruvu dorma.

‘Un mi fiju ‘na fresa.

‘Un mi fiju l'anima a tre viaggi.

‘Un mi rinnovari ‘u chjovu.

‘Un mi va mancu a'n'na ganga.

‘Un mi'n'ni ‘ncarrica nenti.

‘Un pozzu né fujiri né secutari.

‘Un sapiri quali pisci pijari.

‘Un sentiri mancu i troni ‘e marzu.

‘Un simu all'aria ca simu aru cacarozzu.

‘Un tegnu tempu mancu ‘ppè mi rattari ‘a capa.

‘Un ti voju vidiri mancu appressu ara prucessiona.

‘Un trona s'un lampìa.

‘Un vali mancu quattru sordi papalini.

‘Un vò né cantari né portari ‘a crucia.

‘Un‘n'è sita ch'è capicciola.

‘Un'n'à pijatu bonu ‘u capicchju.

‘Un'n'aviri mancu l'occhji ‘ppè ciangiri.

‘Un'n'è lignu ‘e fari crucifissu.

‘Un'n'è tutt'oru chiru chi lucia.

‘Un'ni mangia pagghja ‘a ciuccia.

‘Un'ni minta lippu.

A curcà!

A fatigari: “Micuzzu, Micuzzu!”. A mangiari Micuzzu nu cazzu.

A mesù! A mesù!

A miteru

A muzzu

A‘t'tia lupu!

A' fattu trenta e nun po' fari trentunu!?

A' perzu i senzi?

A' perzu l'occhj e va trovannu i pinnulari!

A'd'occhju.

A'Di vogghja.

Abbà!

Abbenidica!

Abbiverari i gaddrini quannu chjiova.

Accattari a cridenza.

Acqua ari papiri e vini ari ‘mbriacuni.

Acqua avanti e ventu appressu!

Addratta e ciangia.

Addruvu ‘u lassi unn'u trovi.

Aju fattu ‘na culiata!

Aju saputu ca teni ‘a tussa: mangia zucchiru e melu ca ti passa!

Alia e patalia e cicala canta!

All'accurtu

All'ammucciuna

All'anima ‘e chi ti sona'r'i campani!

Ammarrari l'occhji ‘ccù'r'u crivu.

Ammuccia ammuccia ca para tuttu!

Amu fattu ‘a scola ‘nzemi?

Apparecchju mericanu, jetta'r'i bummi e si'n'ni và.

Ara ‘ntrasatta.

Ara bon'ura!

Ara limpressa.

Ara liverza.

Ara porta ‘e Catanzaru c'è na scritta: fuja quantu vò ca ‘cca t'aspettu.

Arbiru chi ti chjami salicunu quannu mai aru munnu a' fattu beni!

Armamuni e jati.

Armari ‘a misca!

Armari ‘a raggia!

Armari scardeddri!

Arrassu sia!

Arreccummannari i pecuri aru lupu.

Arressimigghi a Marianna ciangennu.

Arrobbamu e jamu deritti.

Arrustennu mangiannu.

Aru cavaddru chi ti mina'r'u caviciu li po' tagghjari ‘u pedu?

Aspettari ‘u panaru du celu.

Assai gaddrini e poc'ovi.

Assimigghjati l'api aru zirpunu.

Atrica!

Attacc‘u ciucciu ddruvu dicia'r'u patrunu e ch'i lupi su pozzinu mangiari ‘ccu tutt'u mmastu e'r'i carricaturi.

Aviri ‘a cera comu l'erva.

Aviri ‘a faccia com'i passiri.

Aviri ‘a faccia comu nu mattunu.

Aviri ‘a nasca tisa.

Aviri ‘a vucca chi feta de lattu.

Aviri ‘u parmu ‘e chjcatura.

Aviri ‘u vermu solitariu.

Aviri i mani ‘e ricotta.

Aviri l'occhji quantu ‘u campanilu e nun vidiri ‘a gghjesa.

Aviri l'osimu comu'i cani.

Aviri na mana curcia e n'atra longa.

Aviri nu bruttu mantu

Aviri setti viti com'i gatti.

Aviri tutti i vizzi da mula ‘e Vajanu.

Avissi vogghja!

Az‘a mangiatura.

Bona venuta norima ‘mpalazzu: pozza durari com'a niva ‘e marzu.

Bott'e chjummu!

Bussari 'ccu'r'i pedi.

C'è de Natalu a Santu Stefinu.

C'è nu sulu chi spacca'r'u culu ara ciuccia.

C'è nu sulu chi ti ‘nciota.

Cacciari ‘a capa ‘e fora ‘u saccu.

Caccuri e Cerenzia i pajisi da ciotìa.

Cadiri da naca.

Campari ‘e aria.

Can'e mandra.

Cangiari canneddra.

Cangiari l'occhj ‘ccu'r'a cuda.

Cangiari l'oru vecchju ‘ppè'r'u novu.

Cantari a cazzica!

Carricatti ‘e pacenza.

Ccà ‘cci fazzu na crucia!

Ccà ‘cci lassi i pinni.

Ccà ‘cci vonu lacrimi ‘e ciucciu.

Ccà ci vò'r'a capa ‘e Salamunu.

Cch' amu patutu!

Cchi cancarena chi sì!

Cchi cci teni ‘nta capa, canigghja?

Cchi cugnu stortu!

Cchi dogghja!

Cchi erva ‘e dogghja!

Cchi filu ‘e jina chi m'è venutu!

Cchi malanova!

Cchi rémussu!

Cchi t'à mangiatu? Cudi ‘e lucertuli?

Cchi t'à mangiatu? Puntini ‘e grammofunu?

Cchi vucc'apertu!

Cchi'd'è? – E' masculu!

Cchi'll'è n'ovu a Pavulu?

Cci appizzu ‘u mortizzu!

Cci'à fattu casa e pagghjaru.

Ccì'amu ‘ncarratu.

Ccù'r'a Madonna chi t'accumpagna!

Ccù'r'i cazzi!

Cercari ‘u pilu ‘nta l'ovu.

Cercari filati sciusi.

Chi dunà ‘un patà.

Chi mi'n'ni vò veniri a nova!

Chi s'abbutta e chi resta dijunu.

Chi si curriva si caccia'r'i scarpi.

Chi ti pozza abbrittari ‘a negghja du misu ‘e maju!

Chi ti vò ‘mpignari l'occhji!

Chi ti vò dispreggiari Gesù Cristu!

Chi ti vò mbrigari ccù'r'i tavuli du lettu!

Chi ti vò pijari nu ‘nzurtu!

Chi ti vò rumpiri a nucia du coddru!

Chi ti vò siccari ‘a lingua!

Chi ti vò sucari nu lampu!

Chi ti vò veniri ‘a pipìta!

Chi ti vò veniri filu ‘e jina!

Chi ti vò veniri nu bbonu!

Chi ti vonu acciuncari i mani!

Chi ti vonu ammusciari i mani!

Chi ti vonu fari ‘ccù cipuddra!

Chi ti vonu fari morzareddri morzareddri com‘a carna du perceddru!

Chi ti vonu mangiari i vermi!

Chi vò chjoviri cent'anni e ‘ccù'r'a bona saluta.

Chi vò chjoviri marcia!

Chi vò fari gremu longu!

Chi vò fari gremu longu!

Chi vò fari i vermi!

Chi vò jettari ‘u sangu!

Chi vò jiri cecatu ‘u munnu munnu!

Chi vò jiri l'acqua a penninu!

Chi vò jiri lici pici!

Chi vò nesciri'e inta ccù'r'i pedi davanti!

Chi vò perdiri ‘u sonnu ‘e l'occhj!

Chi vò stari ‘nta pacia ‘e l'angiuli!

Chi vò stari ‘nta picia!

Chini accatta spenna.

Chini mi vò cottu e chini mi vò vuddrutu.

Chissa è prena ca figghja.

Chissi su pitti e pani ca si renninu.

Chissu sa fa de granca!

Chissu t'a rapa e chissu t'a chjuja.

Chjamila comu vò: cucuzza è!

Chjamila comu vò: cucuzza è!

Chjamila comu vò: cucuzza è!

Chjamit‘u canu.

Chjicati jonciu ca chjina passa!

Ciucciu e prisentusu.

Coddrari favuzu.

Com'è? – Cazzi cazzi!

Comu ti pozz'amari cucuzza longa si ppè mangiar'a tia ci vò'r'a carna.

Comu vò Diu.

Cridenza è morta ed è natu Cuntantu.

Cridimi, un si coddra!

Cucci tè!

Cugnu da stessa lignama.

Cuminatu com'i santi ‘e Cariati.

Cummannari a bacchetta.

Cunnu ‘e Borgia.

Cunnu!

Cuntari o cercari finocchji ‘e timpa.

Curcari ara para di gaddrini.

Cuti mia! Cuti mia! Cuti mia!

Da pagura sa cacatu i cavizi.

Dari filu ‘e torciri.

Ddennilibbera!

Ddruvu ‘u mmutti va.

Ddruvu va? - Ddruvu veddru!

Di paroli veniri ari mani.

Dicica ‘nna perzu ‘u mazzicu!

Dogghja colica!

E cchi ssì?! A Canaria?!

E chi ba fa?!

E frechila fré!

È genta ca mina'r'u cincu.

È nu cocciu ‘e ‘ncenzu.

È nu cocciu ‘e lupeddru.

E va pija!

È venutu ‘u tempu di mali vestuti.

E' ‘na peddra!

E' cos'e nenti!

E' curtu e malucavatu.

E''r'u patru cacatu e sputatu.

Erva ‘e dogghja.

Essiri ‘e sangu.

Essiri ‘mpizzu a'n'na timpa.

Essiri cazzu e cucchjara!

Essiri chjinu finu ari cannarozzi.

Essiri comu l'ogghju ara guaddrira.

Essiri comu na lampa ‘mmanu a ‘nu cecatu.

Essiri comu spini ‘e carivunari.

Essiri da mala janìa.

Essiri l'urtimu buttunu da vrachetta.

Essiri n'apa ‘e melu.

Fa l'arta ‘e Giangalassu: mangia, viva e sta'd' a spassu.

Fa nu friddu chi cadunu l'oceddri.

Fari ‘a mastravota.

Fari ‘a trippa vozzi vozzi.

Fari ‘na zincata.

Fari ‘u ciotu ‘ppè ‘un jiri ara guerra.

Fari ‘u sbarru.

Fari ‘u stentinu longu.

Fari a ‘ncunu ‘u culu a cappeddru ‘e previtu.

Fari a ‘ncunu ‘u culu buggi buggi.

Fari a tampa.

Fari accunti musci.

Fari i chjovi a Gesù Cristu.

Fari scilazzu.

Fari vidiri ‘a luna ‘ntu puzzu.

Fari vidiri i surici virdi.

Fatigari comu nu ciucciu.

Fatti l'affari toji mala vicina, ‘un ti ‘mpicciari ‘e l'affari chi nun sai.

Fatti l'affari toji mala vicina, mint'u salu ‘nta pignata toja.

Figghjiceddra mia bonavenuta: è megghju nu lampu t'avessa sucatu!

Filamu sempi aru stessu fusu.

Filari ‘u trentu.

Finiri com'u pisciu all'ogghju.

Focu ‘nta l'ossi!

Focu de cani!

For'affascinu!

Fora malocchju!

Fortarizz'aru cerveddru.

Fortuna cuverta.

Fortuna! Chi ti via ‘na zzinzulusa comu fà jiri a'm'mia senza cammisa.

Fraté!

Frati e sori ddruvu nni trovi?

Fricatinni!

Frichiti a Cicciu!

Gatti ‘ddrà!

Gatti gà!

Gesù Cristu, ma visto mò e ‘un mi vidi cchjù!

Gira ca l'asci.

Guardila quantu vò la gaddrineddra ca mi la vegnu a pijari all'ammensunari.

I boni ti mangi e i malamenti i jetti?

I soji amanti i vò penanti.

I suduri li vanu rappi rappi.

I tristi i lassati e'r'i boni i pijati?

I ttre da gghjazza: scupulu, fruccunu e matarazzu.

Jè e tia fricassimu a natru!

Jè sugnu lisciu: cagnu ‘un'ni tegnu.

Jè un ci mintu né acqua né salu.

Jettari ‘a petra e ammucciari ‘a mana.

Jettari comu nu pettirussu aru vermagghju.

Jiri ‘e renza ‘e renza.

Jiri a Roma e ‘un vidiri ‘u papa.

Jiri ara fallenza.

Jiri aru ‘mbernu ccù tutt'i scarpi.

Jiri cercannu ‘a gghjesa ‘e Roma.

Jiri cercannu ‘u lintu e'r'u pintu.

Jiri cercannu i guai ‘ccù'r'a lampa.

Jocari ‘a cammisa ‘e ncoddru.

Jocari comu ‘a gatta ‘ccù'r'u suriciu.

Jocari puru i buttuni di cavuzi.

L'acqua vuddra e'ru porcu è ara muntagna.

L'è rimastu u ragghju!

L'occhj si tocchinu ‘ccù'r'i vuviti.

L'ura è fatta e'r'u caminu è longu.

L'urtimu ad arrivari fu Gammacurta.

Lass'u stari ca chissu è nu lignu stortu.

Lassari ‘e scanari ‘ppè trappari ‘u culu ara gaddrina.

Lassici futtiri!

Li caca'r'a guaddrira!

Li feti'r'u nasu.

Ma fammi ‘u piaciru!

Mà, Cicciu mi tocca! – Tocchimi, Cicciu, tò!

Maccarruni: scinni ‘a scala e sì dijunu.

Manch'i cani!

Manch'i porci!

Mangiari panu e cipuddra.

Mannaia ‘u bruttu chi beddru mi fa stari.

Mannaia a'c'chi ti sona'r'i campani.

Marituma è jutu a granci e parta ‘e granci porta renunchj.

Mazzicari chjovi.

Mera ca mintu ‘a sputazza!

Mi para mill'anni!

Mi salutinu puru i petri da via.

Mi sciacquarija'r'a capa comu nu varrilu menzu.

Mi scura'r'u coru!

Mi sentu nu vulamentu ‘e anima.

Mi'n'nni fazzu gabbu!

Minari na botta aru circhju e n'atra aru timpagnu.

Minari tra capa e nucia ‘e coddru.

Minta! Ca un mintiri è saluta.

Mintiri ‘ puliciu ‘nta ricchja a ‘ncunu.

Mintiri ccù'r'i rarichi aru sulu.

Mintiri i presutti subba l'occhji.

Mintiri i tavuliddri ara faccia.

Mintiri troppa carna a cociri.

Misci tè!

Mò ccà ti voju!

Mò cci vò!

Mò m'u spinnu!

Mò stujiti ‘u mussu!

Mò t'a carmi'r'a vozza!

Mò t'allisciu ‘u pilu!

Mò ti cava'r'i nozzuli!

Munnu è statu e munnu è.

N'atra cazzata!

N'occhju aru quatru e l'atru ara vertula.

Na vota ‘ppè'd'unu ‘ncavaddru aru ciucciu.

Nni simu spartut'u sonnu.

Nni tegnu verbiri ara capa.

Nni teni ‘ncuni!

Nni teni cosi ‘e vinniri!

Nni va girannu vrocciuli.

Nni va trovannu finocchj ‘e timpa.

Nni volassa chjummu!

Ogne musca li para na tavana.

Ohi, chi ti vò cunchjri!

Oramai su juti i cosi a mala via.

Panu sozizzu e vinu: po' moriri ‘u cristijanu.

Panza e prisenza.

Para ca camina subba l'ovi.

Parenti ara tuvagghja.

Pari ‘nu Papa ‘ncarrozza.

Parica l'aju tagghjatu ‘a vigna!

Pariva spertu e si perda ‘nta nu biccheru ‘e acqua.

Parrannu ‘ccù crianza.

Parrannu du diavulu spuntinu i corni.

Parrari ‘ccù'r'u melu ara vucca.

Parrari ‘nchjinu e ‘mmacantu.

Passari iguai du linu.

Patiri i guai ‘e Gesù Cristu.

Patiri na croscata.

Penzica!

Perdiri ‘a pinnata ‘e ‘ncunu.

Perdiri ‘u ragghju!

Petrusinu ‘e ogne minesta.

Pijari ‘a musca.

Pijari a ‘ncunu ‘ccù'r'a currìa.

Pijari a ‘ncunu comu nu canu ara porta.

Pijari a mana ‘ccù tutt'u vrazzu.

Pijari assi ‘ppè figuri.

Pijari na pica.

Pijari spilu.

Pizzicatu ca ti lassu!

Porti n'annu comu ‘a ciuccia.

Povira mia disperata sola, mò ca sì chjavata ‘mmanu ari scarpari, scarpa mia solata pocu dura.

Ppè l'anima tuja!

Ppè l'animi du prigatoru!

Ppè quant'è veru Gesù Cristu!

Prima ccà e po' carità.

Puru ‘u porceddru vò de razza.

Puru ca li fa i stiddri frijuti ‘un mangia.

Puru ca su caduti l'aneddri su rimasti i jiti.

Puru i muri teninu i ricchj.

Puru l'occhju vò'r'a parta sojia.

Quannu parri ‘un chjiavi mancu a na turra.

Quannu vidi ‘u scurzunu chjami a San Pavulu!

Quanti nni va trovannu!

Ravi'r'u chjummu? – E mannaja quantu rava!

Rengrazzu a Diju ‘ccù'ra faccia ‘ppè ‘nterra.

Restari ccù l'occhji chjini e'ri mani vacanti.

Restari ccù'r'u culu ruttu e senza cirasi.

Rimaniri poviru e pacciu.

Russanu terra russa e mali cristiani e si mina'r'u punentu puru l'erva è malamenta.

S'è misu ccù ‘na gangareddra!

S'un parru fazzu ‘u cagnu.

Santa Lucia ‘ccù l'occhj pizzuti fammi trovari na cosa perduta.

Sapiri affortu.

Sbattiri ‘a capa i muri muri.

Sbrigogna parentatu!

Sciò! Sciò!

Sciogghj'u canu.

Sciù gaddrina straina, sciù!

Scriviri ‘ccu'r'i pedi.

Senta comu t'a culura!

Sentiri ‘u fetu du micciu.

Serviri comu ‘u previtu all'ataru.

Sì ‘mbecchjatu prima di malijurni toji.

Sì fattu comu ‘u casu du quagghju.

Si jetta'r'avanti ‘ppè ‘un cadiri arretu.

Sì na crucia!

Sì na culircia!

Sì na mala farina!

Sì na pecura zzoppa!

Sì na regghja!

Sì na vurpa vecchia!

Sì na zzicca!

Si spagna c'u culu l'arrobba'r'a fadeddra.

Si spagna de l'urmia sojia.

Si su jungiuti ‘a lima e ‘a raspa.

Si sù jungiuti ‘u diavulu e l'acqua santa.

Si su jungiuti duji tizzuni stutati.

Si sù jungiuti malu forisu e mala vernata.

Si sù jungiuti Santu Roccu e'r'a pesta.

Si sù jungiuti tribuli e guai.

Sonannu menzijurnu liberannu ‘a ciuccia.

Sozizzi aru fumu e casu ‘ntu casciunu.

Spaniari da freva.

Spogghjari nu santu ‘ppè ‘ni vestiri natru.

Staju tenimi ca caju.

Stari ‘ccù duji pedi ‘nta na scarpa.

Stari ‘ccù'r'u culu ‘e inta e'r'a capa ‘e fora.

Stari ‘mmenzu comu merculu.

Stari ‘ntantavigghja.

Stari attaccatu a tutt'i pili.

Stari comu nu canu attaccatu all'ossu.

Stari sempi arretu com'a cuda da ciuccia.

Su boni i ciciri e'r'i' fafi ma amara chira trippa ddruvu ‘u panu ‘un ci trasa.

Su boni i ciciri e'r'i' fafi quannu ‘un c'è'd'u patrunu.

Su cchjù i vuci chi nuci.

Subba cchjù e maluvolutu!

Sulità santità.

Sulu t'a canti e sulu t'a soni.

Sutt'e mia è chjavari!

T'à ‘ncocciuliatu bonu bonu.

T'arreccummannu ‘a gghjesa ‘e Roma.

T'avess'e vasari i vuviti!

T'è mintiri nu puntu ara vucca e natru aru culu.

T'è venuta ‘na croscata ‘e natra manera.

Talu ‘u patru talu ‘u figghju.

Tant'aguriji e figghji masculi.

Teni pagura ‘e l'urma toja.

Teniri i palli ‘ntorciniati.

Ti canusciu ‘e quann'eri ‘nta trippa ‘e mammita.

Ti canusciu ‘ppè quanti pili teni aru culu.

Ti cunta puru i muzzicuni chi mangi.

Ti fazzu niviru niviru.

Ti jissa'r'u culu comu ti va'r'a menta.

Ti jusca'ru culu?

Ti mintu ‘a capa ‘mmenz'i ricchj

Ti salutu pedu ‘e fica!

Ti scugnu ‘u mussu!

Ti spagni ca t'unchja'r'a guaddrira.

Ti vò fari cancarena!

Ti vò fumari a pagghja du ‘mmastu!

Ti vò pijari ‘na ‘ngina!

Ti vò sucari nu lampu!

Ti vò venir'a lattacìa!

Ti vò venir'u discenzu!

Ti vo'd'abbrittari ‘a negghja!

Ti vonu cociri a focu lentu!

Ti vonu conzari ‘ccù pipu e salu!

Ti vonu portari quattru perzuni!

Ti'ccè sudat'u culu!

Ti'n'né fricari!

Tirari i curteddrati di mani.

Un ci po' nenti, mancu ‘a pennicillina.

Unu tena e n'atru ‘mprena.

Unu u'm'malla e l'atru un serva.

Urmu né ‘ppè focu né ‘ppè furnu.

V'a jocati ara curriuna.

Va ara fera ca ‘u cecatu è jutu.

Va ara fera e accatta ‘a razza.

Va caca c'alleggi!

Va caca e pijila a pugni.

Va fa ‘nculu!

Va fa ‘u canu!

Va falla ‘nta n'occhju!

Va fatti na naca!

Va fatti na picata!

Va fricuniannu a viola.

Va piscatillu!

Va trova!

Veniri a tavula parata.

Viatiddru!

Vò caminari ccù'r'i jinocchji.

Vò ciangiutu ‘e quattru lonnivucchisi.

Vò fari ‘u beni da vrica: sempi jura e mai liga.

Vò fioriri comu ‘a tavula du Signuru.

Vò jiri ‘u maru maru.

Vò jiri comu i sordi.

Vò parrari ccù i muri.

Vò pisciari sangu.

Vò restari ccù'r'a crucia di spaddri!

Volessa deci paddri ‘nta frunta.

Voliri ‘u ‘nguentu e'r'a pezza.

Volissa vulari ddruvu ‘un c'è munnu.

Zà! Pristu fò!